Ci hanno detto che la musica serve a rilassarci, motivarci, accompagnarci. Ma se stesse solo spegnendo la nostra attenzione?
🚨 Siamo circondati
La musica è ovunque. In caffetteria, nei supermercati, nei centri benessere, negli uffici, negli ascensori. C’è mentre camminiamo, lavoriamo, dormiamo. A volte non la notiamo neppure. Ma il nostro cervello sì.
È la musica funzionale, progettata per non attirare l’attenzione. Una presenza costante che raramente ascoltiamo davvero. Ma che modifica il nostro modo di pensare, percepire e reagire.
🛰 Brian Eno, non lo-fi beats
Quando Brian Eno inventò la musica ambient, non pensava a colonne sonore da playlist YouTube. Music for Airports era un esperimento psicoacustico: musica pensata per essere accolta, non ignorata. Per accompagnare lo spazio, ma con un potere trasformativo, quasi meditativo.
Oggi invece siamo immersi in flussi costanti di suoni neutri, privi di identità. La musica da sottofondo è diventata una tappezzeria acustica prodotta in massa da algoritmi. Non chiede nulla all’ascoltatore. Non lascia nulla in cambio.
🧠 Il cervello si adatta (troppo)
Lo psicologo Oliver Sacks ha descritto la musica come uno stimolo cerebrale potentissimo. Ma quando è onnipresente, il cervello impara a filtrarla. In pratica: ci alleniamo a non ascoltare. E questo abbassa la soglia di attenzione anche nei momenti in cui vorremmo davvero ascoltare.
Secondo studi cognitivi recenti, l’iperstimolazione sonora cronica riduce la memoria a breve termine, la capacità di concentrazione e la sensibilità a dettagli acustici complessi. Un ascolto passivo prolungato ci rende meno capaci di distinguere, emozionarci, comprendere.
🎵 Franco Fabbri e il suono in cui viviamo
Già negli anni ’80 Franco Fabbri osservava che ogni epoca ha il suo “ambiente sonoro”. Ma oggi il suono in cui viviamo non è più collettivo: è individuale, isolato, iperprogrammato. L’ascolto si è ritirato nell’auricolare, perdendo relazioni e contesto.
Fabbri ci ricorda che la musica è anche mediazione sociale. Ma la musica di sottofondo digitale, guidata da logiche algoritmiche, ci disabitua al confronto, alla scoperta, allo stupore. Diventiamo utenti, non ascoltatori.
🔇 Il valore del silenzio
Abbiamo paura del silenzio. Lo riempiamo subito. Ma il silenzio è fondamentale per riascoltare davvero. È pausa, è respiro, è spazio per elaborare.
Come nella musica classica, il silenzio può essere parte dell’opera. Oggi dobbiamo reimparare ad accoglierlo. Anche solo per capire se quello che stiamo ascoltando vale il nostro tempo.
✅ Conclusione
Non è colpa della musica. E nemmeno del silenzio. È colpa del modo in cui li usiamo. Abbiamo bisogno di disintossicarci. Di scegliere. Di decidere quando ascoltare, e quando no.
Perché se la musica è ovunque ma non ci dice più niente, il problema non è il suono. È il vuoto che stiamo cercando di coprire.
📂 Fonti verificate
- Oliver Sacks – Musicophilia: Tales of Music and the Brain, Knopf, 2007
- Franco Fabbri – Il suono in cui viviamo, Feltrinelli, 1982
- Margulis, Elizabeth Hellmuth – On Repeat: How Music Plays the Mind, Oxford University Press, 2013
- Haake, A. B. – Individual Music Listening in Workplace Settings (in “Psychology of Music”, 2011)
- Articolo: The Rise of Lo-Fi Music – Wired (2020)

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