Il DJ è morto? Opinioni da canto sospeso

Il DJ è morto. Anzi, no.

Quando il DJing era… arte rupestre. Sì, l’estinzione del DJ era già scritta sulle pareti della caverna.

Una risposta ironica e argomentata all’articolo virale de Il Manifesto, che ha fatto molto discutere nel mondo musicale e culturale. Qui proviamo a smontare, con un po’ di spirito e molta esperienza sul campo, otto affermazioni frettolose, catastrofiste o semplicemente disinformate sulla fine del DJ.

1. “La figura del deejay è finita. Non serve più.”

Vanverìa: Un’affermazione apocalittica degna di Sibille stanche e cieche.

Perché è discutibile:
In molte terre — periferiche, sotterranee, o danzanti — il DJ permane quale araldo del suono, tessitore di viaggi collettivi, reggitore di armonie e corpi. Chi osserva solo le vetrine dei grandi templi del consumo, e non i fuochi accesi nei boschi o nei centri sociali, scambia l’ombra per la fine del sole.

2. “Chiunque può fare il DJ.”

Fola: Verba leggiera, come piume portate dal vento dell’ignoranza.

Perché è discutibile:
Che chiunque possa provare è vero, come vero è che chiunque può impugnare un pennello — ma non per questo avremo un Caravaggio. Fare il DJ è arte e mestiere, richiede ascolto, coraggio, visione e memoria. E chi crede basti premere “Sync”, confonde lo strumento col musicante.

3. “La club culture si è dissolta nel nulla.”

Sentenza infondata: Detto di chi ha confuso il tramonto con la fine del mondo.

Perché è discutibile:
La club culture muta, si rigenera, migra e si reinventa. Dove non ci sono più club, si alzano tendoni, si occupano fabbriche, si balla in mezzo ai boschi o su terrazze condivise. Se un luogo cambia forma, non vuol dire che la linfa si sia seccata.

4. “La trap ha sostituito la dance come unica espressione giovanile.”

Farneticazione: Visione monocorde di chi ha dimenticato l’orecchio.

Perché è discutibile:
Oggi le nuove generazioni ascoltano jungle, hyperpop, ambient, techno, hard trance, glitch, musica araba remixata con l’UK Garage. Sono libere, mutevoli, ibride — e guai a chi cerca l’“unica voce” del presente.

5. “Nel 2029 tutti i club londinesi saranno chiusi.”

Profezia fragile: Parola da oracolo pigro, che vede solo la fine, mai la trasformazione.

Perché è discutibile:
Londra chiude e riapre, si contrae e poi esplode. Il clubbing sopravvive come l’acqua: scivola altrove, prende la forma del contenitore. DIY, rave, festival e pop-up stanno già costruendo il 2030.

6. “I DJ suonano ormai ovunque, anche nei supermercati.”

Generalizzazione affrettata: Confondere il rumore di fondo con la sinfonia.

Perché è discutibile:
Che un DJ suoni in luoghi inusuali può essere svilente… o può essere poetico. Dipende dal gesto, non dal luogo. La performance può esistere anche al discount, se carica di senso. O può svuotarsi in un superclub se resta solo pubblicità.

7. “Tutti usano la stessa musica.”

Corbelleria sonora: L’eco stanca di chi ascolta solo ciò che già conosce.

Perché è discutibile:
C’è chi cerca, scava, riedita, smonta e ricompone. Chi usa cassette, vinili, field recordings, strumenti autocostruiti. Che molti si accodino alla Top 10 non significa che non ci sia vita oltre Beatport.

8. “La danza non è più rilevante.”

Errore d’epoca: Parola da chi ha dimenticato il corpo.

Perché è discutibile:
La danza è viva, rituale, urgente. Nel queer clubbing, nei free party, nei sound system migranti, nei cerchi aperti post-pandemici. Chi dice il contrario, forse, non entra più in pista da un po’.

Conclusione

Il DJ è vivo e lotta insieme a noi. Non sempre lo troverete sul palco. A volte è sul lato, a volte è nel mezzo, a volte non lo vedete. Ma se sentite che state ballando come non vi capitava da tempo… probabilmente è lì.

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